Relazioni di viaggio e scoperte. Le isole immaginarie del Nord Europa
Nel corso del ‘500, le notizie degli eventi occorsi nel Nuovo Mondo e delle meraviglie trovate dai primi colonizzatori incontrano l’interesse di un pubblico sempre più vasto. Le relazioni di viaggio diventano un prodotto editoriale di grande successo, in particolare in Spagna, potenza egemone e principale attore della corsa al Nuovo Mondo.
Il capostipite di questa tradizione può essere considerato lo stesso Cristoforo Colombo, di cui conserviamo il resoconto delle scoperte grazie a un manoscritto conosciuto come Diario de a bordo, redatto da Bartolomé de las Casas sulla base dei diari di navigazione di Colombo. Anche Las Casas è autore di una cronaca particolarmente influente, la Historia de las Indias, circolata a lungo in forma manoscritta, su cui si baserà tra l’altro l’autore di una delle cronache più importanti dal Nuovo Mondo, Antonio de Herrera, redigendo la sua Historia general de los hechos de los castellanos en las Islas y Tierra Firme del Mar Océano.
La corsa alla scoperta di nuovi territori e l’interesse nei confronti dell’esotico e dunque dello strano non riguarda tuttavia la sola Spagna e il Nuovo Mondo: nel corso del ‘500 in tutta Europa si risveglia un interesse –per la verità mai sopito– per le relazioni di viaggi provenienti da luoghi esotici, non solamente americani. Tra il 1550 e il 1559, Giovan Battista Ramusio pubblica a Venezia un’opera mastodontica in tre volumi, Delle Navigationi et Viaggi, la più grande raccolta di relazioni di viaggio del Rinascimento, che viene rimaneggiata e ampliata con altri tre volumi nel corso degli anni successivi. Ramusio raccoglie moltissime relazioni dal Nuovo Mondo (Cortés, Las Casas, diari di anonimi viaggiatori spagnoli, portoghesi) ma non solo: sono inclusi infatti anche i racconti dei viaggi di Marco Polo e le relazioni di viaggi nel Settentrione, tra cui il viaggio di Pietro Querini. Per la sua ampiezza e varietà, l’opera di Ramusio rappresenta forse il simbolo più compiuto di questo anelito conoscitivo che caratterizza l’età moderna.
Giovanni Battista Ramusio Delle Navigationi, et Viaggj… 1556-1583 |
Tra le relazioni di viaggio incluse nella raccolta, a partire dall’edizione del 1574 troviamo la relazione della scoperta di alcune nuove isole nel Settentrione europeo. Il testo è tratto da un opuscolo pubblicato a Venezia nel 1558 dal giovane veneziano Nicolò Zeno, discendente di una famosa famiglia di esploratori, contenente la relazione di un viaggio nel Nord Europa compiuto da due antenati, i fratelli Zeno, nel corso del ’300 . Durante il loro viaggio, i due fratelli avrebbero scoperto alcune isole, tra le quali spicca in particolare la fittizia isola di Frislanda, sulla quale avrebbero persino vissuto alcuni anni. Sulla veridicità della narrazione, che Nicolò Zeno sostiene basarsi su alcuni diari di viaggio trovati nell’archivio di famiglia, sono stati posti molti dubbi, in particolar modo considerando che proprio in quegli anni circola manoscritta a Venezia la Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno, che Zeno sembra seguire in alcuni punti.
In ogni caso, l’opuscolo di Nicolò Zeno ha una grandissima risonanza e viene addirittura tradotto in inglese. Inoltre, la cartina del Settentrione, allegata alla relazione di viaggio, viene ampiamente tenuta in considerazione: così la fittizia isola di Frislanda trova spazio nelle mappe settentrionali dell’Atlas sive cosmographiae di Mercatore, dell’atlante di Abraham Ortelius e dell’Arcano del mare di Dudleo.
Generalmente, nelle mappe, l’isola di Frislanda è collocata a fianco della più famosa isola di Thule, la capostipite delle isole leggendarie. Considerata a lungo come ultimo baluardo di terra nel Nord Europa dalla Cosmographia di Tolomeo, il mito dell’isola di Thule nasce sul finire del IV secolo a.C. quando Pitea, un astronomo e matematico della fiorente colonia greca di Massalia, l’odierna Marsiglia, intraprende un viaggio oltre le Colonne d’Ercole, verso il Nord d’Europa, mosso tanto da ragioni pratiche –la probabile ricerca di nuove vie commerciali– quanto da un indiscutibile desiderio conoscitivo. Pitea e i suoi marinai risalgono le coste delle odierne Spagna e Francia e circumnavigano la Gran Bretagna, scoprendovi a nord Thule e i ghiacci polari. La fama dell’isola di Thule è resa proverbiale da Virgilio che conia nelle Georgiche l’espressione “ultima Thule” per alludere agli estremi confini del mondo ed è definitivamente consacrata dalla popolarità dell’opera cartografica di Tolomeo, che la presenta come limite settentrionale dell’ecumene. La popolarità dell’isola è tale che –se vogliamo credere alle memorie riportate dal figlio Fernando nella sua biografia– anche un giovane Cristoforo Colombo sbarca, nei suoi primi viaggi navali nel Nord Europa, sulle coste dell’isola di Thule e, addirittura, naviga «más allá de Tile cien leguas» .
Perso il suo carattere spaziale di estremo invalicabile del Nord, nei secoli l’“ultima Thule” acquista un nuovo significato temporale: non a caso, il poeta spagnolo Vicente Gaos intitola Última Thule la sua ultima raccolta (1974) e, similmente, Francesco Guccini decide di intitolare il suo ultimo lavoro discografico L’ultima Thule (2012). C’è però un’ultima, significativa, interpretazione dell’“ultima Thule”, quella di simbolo del desiderio di sfidare e superare i limiti, connaturato agli esseri umani che da sempre si impegnano ad andare contro confini apparentemente insuperabili. È, questo, il senso che dà Seneca all’“ultima Thule” concludendo la Medea con una frase che risulta ancora oggi profetica:
Venient annis saecula seris,/ quibus Oceanus uincula rerum / laxet et ingens pateat tellus / Tethysque nouos detegat orbes/ nec sit terris ultima Thule (Giorno verrà, in secoli lontani, / che Oceano scioglierà le catene / dell’universo e smisurata / si estenderà la Terra. / Nuovi mondi Teti svelerà / e non ci sarà più sul pianeta / un’ultima Thule) (Seneca, Medea, vv. 375-379).