La memoria e l'innovazione: manuali, carte nautiche, enciclopedie
La storia delle esplorazioni è anche storia della cartografia. L’epoca delle grandi scoperte geografiche, non a caso, inizia con la riscoperta della Geographia di Tolomeo, rimasta sostanzialmente sconosciuta in Occidente fino al XV secolo, quando Jacopo d’Angelo intraprende la traduzione dal greco al latino dell’opera, rendendo il testo accessibile a un pubblico più vasto. L’opera cosmografica tolemaica sconvolge le idee geografiche dei contemporanei e diventa un bene molto popolare tra il pubblico colto. Non a caso, uno dei manoscritti più preziosi conservati della Geographia di Tolomeo è realizzato per il duca Borso d’Este. Nel corso degli anni, le mappe tolemaiche vengono aggiornate in base alle nuove scoperte geografiche, che allargano l’ecumene tolemaica in origine delimitata a ovest dalle isole Fortunate (le odierne Canarie) e a nord dall’isola di Thule. Tuttavia, l’aggiornamento delle mappe arriva molto spesso con notevole ritardo rispetto alle nuove scoperte, che frequentemente vengono secretate dai sovrani per evitare la concorrenza di altri stati. La Geographia di Tolomeo non è infatti un’opera destinata ai naviganti e non fornisce indicazioni utili a questo.
Claudio Tolomeo e Jacopo D’Angelo Cosmographia Libri VIII 1482 |
Nella ricerca di nuove terre da conquistare, sovrani e marinai si servono di carte nautiche la cui diffusione è di molto precedente alla riscoperta di Tolomeo: i portolani (cartas de marear in spagnolo). I primi esemplari conosciuti di queste carte, la cui paternità è contesa tra Italia e Spagna, in particolare tra Genova e Maiorca, risalgono alla fine del XIII secolo. Almeno inizialmente, i portolani si limitano a descrivere porzioni di territorio circoscritte, come il bacino del mar Mediterraneo o del mar Nero, utilizzando per la rappresentazione delle terre una proiezione ortogonale (dove meridiani e paralleli formano un’incidenza ad angolo retto), particolarmente funzionale per le carte regionali, meno per zone più vaste o lontane dall’equatore. L’interno delle terre rappresentate è abitualmente vuoto o ornato da illustrazioni: il portolano rappresenta infatti soltanto il profilo delle coste lungo il quale vengono indicati i porti e i principali accidenti geografici (capi, baie, foci, …). Mancano le coordinate geografiche: l’orientamento è garantito da un sistema di rose dei venti, prolungate da una rete di rombi.
I portolani che influenzano maggiormente la storia delle carte nautiche sono senz’altro quelli realizzati da cartografi maiorchini. Tra il XIII e il XV secolo, l’isola di Maiorca è un centro commerciale estremamente dinamico e un punto nevralgico per gli scambi nel Mediterraneo e nell’Atlantico, grazie alla presenza di mercanti musulmani, ebrei e cristiani. La ricchezza culturale, unita all’esigenza di fornire ai naviganti mappe sempre più accurate delle terre conosciute, porta alla nascita di una vera e propria scuola cartografica, il cui capolavoro creativo è indubbiamente il cosiddetto Atlante catalano (fine XIV secolo) opera cartografica nella quale, tra le altre cose, compare per la prima volta la rosa dei venti come strumento di orientamento. Anche dopo l’esaurirsi del potere commerciale catalano verso la fine del ‘400, la cartografia maiorchina continua a esercitare un’influenza notevole: nel 1500, Juan de la Cosa –marinaio della Santa Maria nella prima spedizione colombina, pilota della Santa Clara nella seconda e, poi, esploratore al seguito di Amerigo Vespucci– realizza su probabile richiesta dei Re Cattolici la prima carta nautica in cui vengono rappresentate le coste del continente americano, ispirandosi per la sua realizzazione al modello dei portolani maiorchini. Inoltre, cartografi maiorchini –o di formazione maiorchina– continuano ad operare anche nel secolo successivo: è il caso di Joan Martines, cartografo maiorchino operante in Sicilia, in particolare nella città di Messina, dal 1556 al 1587, autore delle Tavole marine e dal cui prolifico lavoro derivano più di una trentina di carte e atlanti datati tra il 1550 e il 1591.
Joan Martines Tabulae marinae XVI secolo |
Un altro importante polo di realizzazione di portolani è Genova, dove si sviluppa una scuola cartografica a cui si può iscrivere lo stesso Cristoforo Colombo che, insieme al fratello Bartolomeo, si interessa fin da giovanissimo alla cartografia. Nel XV secolo, la cartografia genovese è dominata da famiglie di maestri che si tramandano i segreti dell’arte; tra queste, spicca la famiglia dei Maiollo o Maggiolo di Rapallo, il cui capostipite fu Vesconte, autore di vari portolani.
Nel corso del XVI secolo, la rappresentazione cartografica dei portolani assume sempre maggiore rigore e si assiste a una progressiva fusione tra lo stile nautico e lo stile “dotto” delle carte che via via si impone nel panorama cartografico del cinquecento. Il genere del portolano si specializza pertanto in modo sempre più preponderante nella descrizione dettagliata di elementi che non possono essere riportati sulla carta, come riferimenti alla normativa locale, ai pericoli e ostacoli alla navigazione come secche o relitti, indicazioni per l’ingresso nei porti, per l’ancoraggio e ogni altra informazione ritenuta utile alla navigazione e alla sicurezza, diventando dei veri e propri manuali di navigazione come il Portolano del Mare Mediterraneo, ossia Guida dei Piloti Costieri di Enrico Michelot.
L’aumento vertiginoso di viaggi esplorativi lungo tutto il ‘500 si traduce anche in una maggiore attenzione alle tecniche e agli strumenti per la navigazione. Alla fine del secolo, Mercatore inventa la sua celebre proiezione che consiste, essenzialmente, in una versione migliorata della proiezione ortogonale dei portolani: i meridiani sono equidistanti e perpendicolari all’equatore, i paralleli sono linee rette la cui spaziatura aumenta progressivamente dall’equatore verso i poli per attenuare la deformazione delle terre situate alle alte latitudini. Si tratta quindi di una proiezione cilindrica conforme, dove vengono rispettate le forme e i contorni ma non le superfici. L’ambizione di Mercatore non è quella di dare una migliore immagine della Terra, ma di facilitare il lavoro dei piloti: con il reticolo di Mercatore, l’itinerario di una nave è sempre una linea retta. Tuttavia, l’ingegnosità della sua proposta viene compresa solo un secolo più tardi. La soluzione dei problemi tecnici della strumentazione –come correggere, ad esempio, gli effetti della declinazione magnetica, che impedisce alla bussola di segnare esattamente il nord geografico o come determinare le coordinate geografiche attraverso l’osservazione della volta celeste– non è infatti richiesta ai cartografi, ma agli astronomi e matematici, che si occupano frequentemente del tema. È il caso di testi come il Regimiento de navegación (1606) di Andrés García de Céspedes, del Globe maritime avec la cognoissance, et Pratique des Longitudes proposé en une Navigation (1621) di Benedetto Scotto o, ancora, de L’arcano del mare (1646) di Roberto Dudleo (italianizzazione di Robert Dudley). Quest’ultima opera, in particolare, si colloca vicino a portolani e carte nautiche, nel genere letterario che unisce trattati tecnici di navigazione a un ricco apparato cartografico dei profili costieri. Dudley include nella sua opera nuove tecniche di navigazione “scientifica e perfetta” e 127 carte relative a tutte le parti del mondo, nelle quali si utilizza la nuova proiezione cilindrica di Mercatore.